
In questo blog abbiamo iniziato un piccolo viaggio dentro un tema sterminato.
Un percorso che vuole gettare dei ponti tra due sponde all’apparenza molto distanti tra loro: la mitologia greca e il mondo del fare impresa.
Con questa convinzione: c’è una saggezza, nei miti degli antichi, che ha superato la prova del tempo, che affonda le sue radici molto in profondità, dentro tutti noi. Che coinvolge i grandi temi dell’umanità, ma anche le pratiche del quotidiano. Che riguarda l’esistenza individuale, ma anche quella collettiva.
Una saggezza che, di conseguenza, può e deve riguardare anche la cultura d’impresa, sostenibile, responsabile, innovativa.
Da questa convinzione è nato un libro “Mitologia d’impresa – Gli insegnamenti del mito greco per l’imprenditore”, che ho scritto e che puoi ordinare seguendo questo link.
Dopo una prima tappa dedicata ai miti delle origini – e dunque al rapporto tra il passato e il futuro, tra la tradizione e l’innovazione – che puoi recuperare qui, siamo pronti a a spiegare di nuovo le vele.
La nostra nuova destinazione è Creta.
L’isola in cui è ambientata una storia piuttosto nota…ma tutta da esplorare nei suoi risvolti: quella di Dedalo e Icaro.
***
Secondo il mito, Creta è la patria del re Minosse.
Qui vive anche Dedalo, geniale architetto, scultore, inventore.
È lui il “progettista” (così lo definiremmo oggi) del celeberrimo labirinto, in cui il sovrano ha confinato il figliastro, il Minotauro, mostruosa creatura con il corpo di uomo e la testa di toro.
Beffardo e tragico è il destino di Dedalo. Verrà infatti rinchiuso nel suo stesso labirinto, insieme al figlio Icaro: conosce troppi segreti; dunque, per Minosse, costituisce un pericolo da tenere sotto controllo.
Pertanto, per una terribile ironia della sorte, l’inventore geniale finisce ingabbiato all’interno della sua stessa invenzione, fagocitato dalla sua stessa creatura.
Proseguendo nella metafora, possiamo vedere in Dedalo il prototipo dell’uomo pieno di idee che, però, non riesce a passare all’azione, che si perde nel labirinto, nel dedalo (appunto) del processo creativo, senza riuscire a trasformare le sue elucubrazioni in qualcosa di concreto.
Quanti esempi del genere ci vengono in mente, pensando alla nostra esperienza comune, pensando alla vita d’impresa?
Quante persone di genio bloccate nell’astrazione?
Quanti creativi che rischiano di ostinarsi in percorsi cervellotici, che si raggomitolano su loro stessi, che non riescono a trasformare in output l’enorme quantità di input in cui sono immersi?
Quante volte ci siamo trovati noi, nel piccolo e nel grande, in situazioni simili?
Ecco, spesso la soluzione per uscire da queste impasse è più vicina di quanto si pensi.
Basta cambiare prospettiva, adottare uno “sguardo laterale”.
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Ma torniamo al mito.
Torniamo sull’isola di Creta.
Nel labirinto con Dedalo è confinato anche il figlio, Icaro.
Non si tratta solo di salvare se stesso. C’è da salvare anche il figlio, che è giovanissimo, che ha tutto il futuro davanti a sé da vivere.
Come fare?
Serve un’idea.
E Dedalo ne partorisce una geniale, estremamente ambiziosa.
“Che Minosse sbarri pure le vie di terra e d’acqua” dice a Icaro “ma almeno il cielo è sempre aperto. Passeremo di lì! Sarà padrone di tutto, ma non dell’aria!”; questo è il modo in cui viene raccontato da Ovidio nelle sue Metamorfosi.
Dunque, eccola la via che solo il creativo, il genio, sa vedere.
Quando tutti si affannano a trovare un modo per risolvere il mistero labirintico di un problema tenendo lo sguardo a terra, o dritto di fronte a sé, il creativo fa un’operazione semplice e rivoluzionaria: Dedalo alza il suo sguardo verso il cielo e intuisce che la soluzione è proprio sopra la sua, la loro, testa.
È quello che oggi – in azienda, ma non solo – definiremmo “pensare fuori dagli schemi”.
Un’attitudine che è l’esatto opposto dell’incaponirsi.
Tutti rischiamo di finire in labirinti, che spesso sono più mentali che fisici.
E incaponirsi, in questi casi, ci porta a sbattere contro tutta una serie di muri che paiono moltiplicarsi a ogni passo. Da situazioni simili si esce solo adottando un cambio di prospettiva.
Pensateci: il modo migliore per uscire da un labirinto è provare a osservarlo dall’alto.
Ma non corriamo troppo…
Per ora, con la nostra storia, siamo ancora dentro il labirinto. Abbiamo lasciato Dedalo, con gli occhi scintillanti e il sorriso soddisfatto di chi ha appena avuto un’idea che potrebbe risolvere la situazione. Ma non vi ho ancora detto come andrà a concretizzarsi questa idea. E come la storia va a finire.
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Riprendiamo da qui.
Dedalo, sotto l’attento sguardo del figlio, inizia a raccogliere delle penne perdute dagli uccelli che volano sopra il labirinto. Le dispone una accanto all’altra, cominciando dalle più piccole e proseguendo con quelle più lunghe. Poi le salda con uno spago e della cera. In questo modo, con grande pazienza, crea la prima macchina volante. Una rudimentale e arcaica versione di un parapendio. Sembra funzionare.
Ne crea due modelli, uno per sé e uno per il piccolo Icaro.
Tutto è pronto per la fuga.
Il padre fa le ultime raccomandazioni al figlio:
“Vola a mezza altezza, Icaro, mi raccomando, in modo che l’umidità non appesantisca le penne se vai troppo basso, e il calore non le bruci se vai troppo alto.
Vienimi dietro, ti farò da guida”.
Ecco che si affaccia un concetto decisivo per la mitologia e la cultura greca, quello del katà métron. L’espressione si può tradurre come “secondo giusta misura”. È il “quanto basta” che si ritrova in certe ricette di cucina.
Non è la “mediocrità”, ma l’arte raffinatissima dell’equilibrio, del saper dosare coraggio e analisi, inventiva ed esperienza, slancio entusiastico e necessaria prudenza.
L’arte che manca a Icaro che, come spesso accade, il figlio ha un carattere opposto a quello del padre: impulsivo, ambizioso, focoso.
Poco incline, appunto, alla moderazione.
Non a caso, questa storia non ha un lieto fine.
Icaro si alza in volo insieme al padre. All’inizio è timoroso. Poi inizia a farsi prendere la mano, si stacca dalla scia di Dedalo, si avvicina troppo al sole. E così la cera che teneva unite le penne si scioglie, facendo precipitare il giovane nel mare, dove morirà.
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Dedalo aveva avuto un’idea geniale: fuggire dal labirinto attraverso il cielo. Aveva trovato il modo per farlo, forgiando delle ali di cera per se stesso e per Icaro.
La sua creatività si era trasformata in “tecnologia”, in innovazione, in una possibile salvezza.
Ma poi qualcosa è andato storto.
Il giovanissimo Icaro commette un errore fatale.
Si sente troppo sicuro.
Vola troppo in alto.
Si avvicina al sole. E la cera delle sue ali si scioglie, facendolo precipitare in mare.
***
C’è un termine preciso, in antico greco, per descrivere l’errore di Icaro: hybris.
In italiano, il vocabolo non è così facilmente traducibile.
È la tracotanza. Un orgoglio che supera il limite, la giusta misura. Un’ambizione troppo elevata rispetto alle proprie forze. Un’eccessiva sicurezza in sé che finisce per far perdere il contatto con la realtà che si ha intorno…e le conseguenze sono sempre tragiche.
Quante imprese falliscono perché peccano di hybris? Perché volano troppo in alto, magari seguendo delle correnti particolarmente favorevoli, ma non sanno poi come planare in sicurezza e tornare a quote più sostenibili?
Tante, troppe: soprattutto in questi tempi in cui i limiti appaiono più sfuggenti e le correnti più impetuose. Quante volte ci sentiamo ripetere che basta un’idea geniale e un po’ di fortuna? Quanta epica è sorta intorno all’importanza di osare…osare sempre e comunque?
Certo, spingersi oltre i limiti è una tendenza innata nell’essere umano.
E questa tendenza è il carburante di qualsiasi progresso, di qualsiasi innovazione.
Innovare significa avere il coraggio di andare oltre.
Ma andare oltre non equivale a lanciarsi nel vuoto, senza consapevolezza, senza il senso delle responsabilità, senza essersi chiesti – in anticipo – qual è il prezzo da pagare. Perché un prezzo c’è sempre.
E non si può nemmeno pensare di crescere all’infinito.
Per il semplice motivo che viviamo in un mondo finito, dalle risorse limitate, che si basa su dinamiche più cicliche di quanto siamo pronti ad ammettere.
Come collettività, ce ne stiamo rendendo conto in maniera anche drammatica.
La lezione ci arriva dai cambiamenti climatici, causati da una mentalità figlia del mito (non greco, però…) della crescita infinita, che misura il benessere della collettività solo sulla base del PIL, che si disinteressa della sostenibilità, delle conseguenze a lungo termine delle nostre azioni di oggi.
Questa è la più grande sfida che abbiamo all’orizzonte.
E, a pensarci bene, è una sfida che si gioca proprio tra hybris e katà métron, tra l’illusione di poter volare sempre più in alto e la consapevolezza della ricerca di un giusto mezzo tra crescita e sostenibilità, tra innovazione e benessere, tra ambizione personale e responsabilità collettiva.
Un equilibrio certamente delicato, che non si trova mai una volta per tutte e intorno a cui – io credo – sia necessario ampliare e approfondire il dibattito.
Mitologia d'impresa: Gli insegnamenti del mito greco per l'imprenditore.
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