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Mitologia d'impresa - Narciso: L’importanza del sapersi guardare allo specchio e i rischi dell’auto-innamoramento

angeloluigimarchet

Aggiornamento: 16 mag 2024

narciso si guarda allo specchio

In questo blog abbiamo intrapreso un piccolo viaggio dentro un tema sterminato.

Un percorso che è iniziato con la pubblicazione di un libro “Mitologia d’impresa – Gli insegnamenti del mito greco per l’imprenditore”, che ho scritto e che puoi ordinare seguendo questo link.


L’idea è quella di gettare dei ponti tra due sponde all’apparenza molto distanti tra loro: la mitologia greca e il mondo del fare impresa.

Perché c’è una saggezza, nei miti degli antichi, che ha superato la prova del tempo, che affonda le sue radici molto in profondità, dentro tutti noi. Che coinvolge i grandi temi dell’umanità, ma anche le pratiche del quotidiano. Che riguarda l’esistenza individuale, ma anche quella collettiva. Una saggezza che, di conseguenza, può e deve riguardare anche la cultura d’impresa, sostenibile, responsabile, innovativa.


La prima tappa era dedicata ai miti delle origini, dunque al rapporto tra il passato e i futuro, tra la tradizione e l’innovazione: la puoi recuperare qui.

La seconda, invece, si è concentrata su Icaro e sui rischi di volare troppo in alto, senza le dovute precauzioni: si può leggere qui.

Ora siamo pronti ad affrontare un nuovo tema, partendo da una storia amara, che è diventata quasi proverbiale e che ha molto da insegnarci: quella di Narciso.


***


Narciso, in origine, era un solo nome proprio; oggi è diventato un sostantivo comune, di tono piuttosto dispregiativo.


Secondo il mito, Narciso è figlio di un dio fluviale, Cefiso, e di una ninfa delle acque dolci, Liriope.

Dopo l’infanzia, diventa un giovane dalla bellezza senza pari.

A sedici anni ha un aspetto così meraviglioso che ogni abitante della sua città – maschio o femmina, giovane o vecchio – finisce per innamorarsi perdutamente di lui…lui che invece, sdegnoso, rifiuta ogni pretendente.

Poi, un giorno, accade il miracolo.

Il giovane Narciso, forse, ha trovato qualcuno alla sua altezza.

L’ha trovato in uno specchio d’acqua, in mezzo a un bosco.

È un essere bellissimo, il primo che, finalmente, riesce a catturare la sua attenzione.

“Quando ti tendo le braccia, subito le tendi anche tu; quando sorrido, ricambi il sorriso; e ti ho visto persino piangere, quando io piango” così gli dice Narciso, senza rendersi conto che, in realtà, sta parlando con il suo riflesso nell’acqua…che si è innamorato di se stesso.


Questa storia può sembrare quasi comica. Ma ha un epilogo tragico.

A dire il vero, la tradizione ci ha tramandato due finali; ed entrambi sono crudeli.

Quello della versione greca è il più violento: Narciso si uccide trafiggendosi con una spada; e dalle gocce di sangue cadute a terra nasce il fiore che oggi porta il suo nome.

La versione romana è più morbida, ma non per questo meno drammatica. Secondo le Metamorfosi di Ovidio, il giovane muore di una morte lenta, di stenti e struggimenti di fronte alla propria immagine, riflessa e irraggiungibile. E perfino quando attraversa lo Stige, il fiume dei morti che porta all’Oltretomba, Narciso si affaccia sulle acque torbide, per ritrovare almeno un riflesso lontano della sua amata immagine.


Innamorarsi perdutamente di se stessi è pericoloso.

Ci porta al distacco dalla realtà, da tutto quello che abbiamo intorno. Ci porta a pensare che siamo sufficienti a noi stessi, che non abbiamo bisogno di altro. E le conseguenze, lente o repentine, sono sempre tragiche.

Vale per i singoli individui, ma anche per i gruppi di persone; e certamente vale anche per le aziende.

Questo è il primo insegnamento che possiamo trarre da questo mito così triste e memorabile.

Eppure, a ben vedere, c’è anche una lezione positiva, nascosta sotto la superficie di questa storia. Una lezione che ha a che fare con lo specchio.


***


Ogni persona, ogni innovatore, ogni imprenditore deve, per prima cosa, imparare a guardarsi allo specchio. Deve sempre partire da qualcosa che sembra molto semplice a prima vista; ma che è – in realtà – estremamente difficile: conoscersi, essere consapevole di sé.


“Conosci te stesso”: questa, non a caso, era la massima incisa nella pietra all’ingresso del tempio di Apollo a Delfi; ed è anche una delle sentenze di Socrate più note di tutti i tempi.

È l'esortazione a un viaggio affascinante, forse il più lungo della vita. Ma è anche un ammonimento ad ammettere la propria limitatezza, la propria finitezza.


Il giovane Narciso, però, commette un grave errore: confonde la conoscenza di sé con la vanità. Invece di osservarsi con un sano distacco, si innamora della propria immagine riflessa.

Anche in questo caso è un peccato che ha a che fare con il senso della misura.

La sua auto-stima è così sconfinata che lo porta prima alla solitudine, poi alla morte.


Certo, la storia di Narciso è paradossale e iperbolica; ma dobbiamo stare attenti: incappare in un simile errore è molto più facile di quanto pensiamo, soprattutto nella nostra società, in cui ci specchiamo continuamente negli schermi.


Dunque, proviamo a chiederci, che cosa significa conoscere se stessi, avere una giusta consapevolezza di sé?


Non ho una risposta esaustiva, chiaramente. Ma io direi che è provare a vederci per

come siamo realmente, con i nostri punti di forza, con i nostri limiti, con le nostre

debolezze. Guardarci allo specchio con la giusta dose di distacco, come occasione di crescita e non di vanità.

Ci vuole una grande lucidità per questa operazione, ma anche grande coraggio.

C’è, infatti, il rischio di essere troppo sicuri di sé.

Ma c’è anche il rischio opposto: quello di sminuirci, di sentirci sempre inadeguati, mai

all’altezza.


Il primo errore (l’eccesso di autostima) può portare ai “folli voli” e a peccare di hybris…con tutte le conseguenze che abbiamo fatto emergere con la storia di Icaro.

Il secondo errore (un’autostima troppo bassa) all’immobilità, all’inazione, allo scansare le responsabilità.

E qual è la via da seguire?

Di nuovo, quella che passa tra i due estremi: katà métron, il giusto mezzo. Questa è l’unica via che ci porta a una crescita solida, come singoli e come aziende.

Ed esiste una via uguale per tutti?

Assolutamente no.

Ciascuno deve trovare la propria. E, per di più, non la si trova una volta per tutte: bisogna aggiornarla continuamente, adattarla a ogni singolo momento.

È un esercizio continuo: quello di interrogare lo specchio, di porsi le giuste domande e cercare le giuste risposte.

È un approccio, una forma mentis, un’attitudine mentale, da rinnovare continuamente. Un equilibrio che dev'essere continuamente aggiornato.


E poi c'è un punto chiave. La storia di Narciso ce lo insegna alla perfezione: questo “lavoro”, questo percorso, non può essere solitario. Siamo animali sociali: e ci definiamo continuamente anche in rapporto agli altri. Nel nostro specchio rientrano anche gli altri. E in quello degli altri rientriamo anche noi.

Tutto ciò è più vero e concreto che mai, se pensiamo all’ambito della vita aziendale.


***


Non c’è dubbio: una sana autocoscienza è una caratteristica imprescindibile dell’impresa, nel suo insieme.

Ma come può avere “coscienza” un’impresa?

Imparando a “specchiarsi”.

E imparando, ancor prima, a far rientrare nello specchio il contesto, tutto ciò che sta intorno a lei.

Avere una visione d'insieme e, contemporaneamente, non perdere di vista i dettagli.

Bisogna, insomma, sapersi porre le giuste domande, domande che dal generale si stringono verso il particolare, con un movimento per cerchi concentrici.


Si potrebbero scrivere interi trattati solo su questo tema; io, umilmente, provo a elencare di seguito quelle che mi sembrano le domande imprescindibili da porsi. E lo faccio con la speranza di stimolare delle riflessioni in voi che mi state dedicando del tempo per leggere.


- Qual è la situazione globale dell’ecosistema economico e sociale in cui la mia azienda è

immersa?

- Qual è lo stato di salute del comparto specifico a cui appartiene? Quali sono le

tendenze emergenti?

- Quali sono gli attori principali del settore? E come si muovono questi attori?


- Stringiamo poi il cerchio: come è inserita la mia impresa nella comunità nazionale e in

quella più ristretta che le sta intorno? Come è vista? Qual è la sua reputazione? Quali

sono le sue responsabilità?

- Chi sono e che cosa fanno i competitor? C’è un modo per trasformare questa

competizione in una feconda condivisione di conoscenze e di esperienze?


- Infine, entriamo ancora più nei dettagli della vita aziendale e chiediamoci: la nostra

visione e la nostra missione sono chiare? Sono coerenti con quello che realmente

facciamo? Sono ben percepite all’interno della compagnia? E all’esterno?

- Chi sono le persone che compongono l’azienda? Sono qualificate? Sono preparate?

Sono motivate? Sono felici? Si sentono coinvolte? Sono in continua crescita?

- I processi: sono efficaci? Sono efficienti? Sono sufficientemente flessibili?


Si fa in fretta a dire "conosci te stesso".

Ma, quando s’inizia ad entrare in profondità nel concetto, le cose si fanno molto più complesse!


Rispetto al passato, abbiamo a nostra disposizione degli strumenti di misurazione molto più efficienti, precisi e pervasivi. Con la digitalizzazione in cui siamo immersi, l’analisi dei dati ha fatto un balzo in avanti inimmaginabile fino a pochi anni fa.

Eppure, resta al centro la stessa sfida di sempre: conoscersi, senza innamorarsi di sé. Ammettere le proprie debolezze, per provare a superarle…o anche per accettarle e prendere le necessarie contromisure. Riconoscere le proprie forze, senza perdersi nel labirinto della vanità.


Insomma: oggi come ieri, i dati sono inutili se non si sanno leggere. Le analisi sono sterili se non portano all’azione.

Al centro resta sempre l’uomo...che non è un’entità separata dalla comunità, dal contesto, dall’ambiente.


Mitologia d'impresa: Gli insegnamenti del mito greco per l'imprenditore.


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